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A Rota libera

Intervista a Maurizio Rota, quarant’anni di musica travolgente

 

 

Notizia del mese di Febbraio 2006


di Chiara Martini

C’è euforia al Beba do Samba.
Il concerto è appena finito quando siamo davanti a lui con una birra in mano, l’artista acclamato è Maurizio Rota.
Lui vive di musica da ben quarant’anni: compone, canta e suona. Fa e ha fatto sempre questo nella vita. Un artista vero.
«L’artista è uno che dalla fame ha perso la vista, diceva mia madre.» Maurizio sorride nel dirlo mentre i nostri boccali di birra tintinnano l’uno contro l’altro.
Un brindisi alla semplicità!
Poi si fa serio, e ci racconta come lo sforzo dell’artista sia quello di tirare fuori le emozioni da se stesso e dagli altri e dirle, gridarle: «Se togli i saltuari momenti bui, paranoie da droga, posso dire di aver trascorso quarant’anni con una chitarra in mano, a sognare.» E a far sognare. Maurizio trasforma fatti, volti, colori in note che fissa su un pezzo di carta e poi… e poi qualche tavola di legno, una vecchia sedia, una chitarra, una flebile luce, un microfono e un fazzoletto attorno al collo… bastano per volare.

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Maurizio Rota è sempre pronto a vibrare e a far vibrare con modulazioni sensuali, con virtuosismi discreti e interpretazioni da vera star. Cover di Hendrix, dei Beatles, musica estemporanea, e poi pezzi suoi. Suadente, dissacrante, commovente.
Di fronte a un uomo che scrive una canzone per una triste sconosciuta incontrata in tram, in una notte di pioggia e si emoziona nel cantarla, il rispetto è doveroso.
«E’ successo qualche anno fa, alla stazione Termini. Alle quattro di mattina. E’ salita sul 14 una ragazza completamente bagnata, dalla testa ai piedi, aveva gli occhi gonfi di pianto. Ho parlato un po’ con lei, della sua disgraziata vicenda e quando ci siamo salutati ho pensato che se mi fosse stato concesso di vivere un’altra vita sarei rinato per lei».
Quella notte è nata una canzone, si chiama Per te rinascerei, ed è bellissima. Maurizio ama raccontare storie e raccontarsi con la propria voce. Preferisce farlo nella penombra di piccoli locali, fumosi fino a qualche tempo fa.
Chi è seduto di fronte a quel corpo vibrante di energia e passione non può distrarsene. C’è silenzio attorno al palco. Questa la magia che solo il vero artista può ottenere. Il pubblico che lo segue è fatto di giovani, spesso amici, con i quali esce nel quartiere dove vive e che ama: S Lorenzo.
«Mi chiedono consigli, come cantare, cosa ascoltare. Mi piace confrontarmi con la nuova generazione.» Già, perché lui appartiene alla generazione di chi ha ascoltato i primi vagiti del vero rock. «Dagli anni ’80 la musica non mi ha dato quello mi aspettavo. Mi sono rifugiato nel jazz per resistere.»
Uno dei compiti dell’artista è educare i ragazzi all’ascolto della buona musica e Maurizio è un maestro in questo. S Lorenzo è la rumorosa e affollata aula in cui diffonde il suo pentagramma di idee e suggestioni. «E’ il quartiere su misura per me. E’ bello, pieno di vita, di giovani, a qualunque ora esci di casa incontri sempre volti amici con cui chiacchierare. E’ diversa dagli altri quartieri di Roma.» «Dai Parioli?» gli chiediamo.
«Non conosco i Parioli!» risponde ironicamente lui. «Una cosa o è buona o non lo è!»
Maurizio vorrebbe salire di qualche gradino, non lo nasconde, ma finora non ha mai potuto rinunciare a cantare e dire ciò in cui crede e questo atteggiamento nell’attuale società, si sà, non è visto di buon occhio. E allora niente compromessi. Ci vuole l’anima per cantare. «Se non ti metti in gioco, a cuore aperto, con sincerità, non comunichi nulla a chi ti ascolta.».




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